Le Proprietà collettive vengono definite anche Beni comuni tradizionali perché – insieme ai Beni comuni globali e ai “News commons” – sono uno dei gruppi in cui possono essere suddivisi i Beni comuni.
La studiosa Nadia Carestiato definisce i Beni comuni tradizionali «quei Beni che le Comunità locali, in ogni parte della terra, hanno goduto e continuano a godere collettivamente per diritto consuetudinario».
Si tratta di Aree di pesca, di Campagne, di Boschi e di Pascoli posseduti collettivamente e riconosciuti come proprietà indivisibili, inalienabili, vincolate alla destinazione agro-silvo-pastorale e protette per la loro valenza ambientale.
Tale riconoscimento formale, spesso, non si traduce in un effettivo rispetto e in un’adeguata valorizzazione. Ma dove le Comunità decidono di esercitare pienamente il proprio dovere civico di partecipazione, applicando i principi costituzionali di sussidiarietà e solidarietà, si innescano rapidamente processi virtuosi che garantiscono:
– benefici economici (valorizzazione delle risorse e dei saperi locali; rilancio delle attività agricole; fornitura di servizi ecosistemici e ambientali; integrazione fra attività primarie, culturali e turistiche; attualizzazione degli “Usi civici” di legnatico, rifabbrico, fungatico, pascolo, caccia, pesca…; sviluppo di Distretti di Economia solidale…)
– benefici sociali (contenimento dello spopolamento e della disoccupazione; potenziamento dei servizi di prossimità; autogestione dei servizi essenziali; sviluppo del senso civico e della partecipazione democratica…)
– benefici ecologici (custodia e gestione del territorio; perseguimento dell’autonomia energetica e alimentare; transizione verso un’agricoltura e una pesca estensiva e multifunzionale e una selvicoltura innovativa…).
Gli organismi che gestiscono i patrimoni comunitari sono retti da volontari e sono totalmente autofinanziati dalle proprie attività. Possono attingere a contributi pubblici, come gli imprenditori privati o gli Enti pubblici, ma non beneficiano di trasferimenti ordinari come gli Enti locali. Dunque, non sono un costo per le Comunità, ma una risorsa, sia di partecipazione sia economica.
«Questi non sono abusi, non sono privilegi, non sono usurpazioni: è un altro modo di possedere, un’altra legislazione, un altro ordine sociale» Carlo Cattaneo (filosofo, politico e scrittore italiano).